Google sta cambiando pelle ad una velocità mai vista prima: se prima modifiche e cambiamenti negli algoritmi erano una questione di mesi, a volte anche di anni, oggi le novità si susseguono ad una rapidità mai vista, nell’ordine delle settimane.
E i cambiamenti non sono più una questione di “oscuri algoritmi”, ma riguardano le stesse fondamenta della ricerca di Mountain View. Tutto, nemmeno a dirlo, ha a che fare con l’introduzione delle IA che hanno profondamente mutato gli scenari: dalle Google overview, le finestre che servivano ad introdurre, nelle serp, le risposte fornite dalle intelligenze generative, si sta passando velocemente all’AI Mode, disponibili da pochissimo per tutti gli utenti americani in possesso di un account Google, un vero e proprio ambiente di ricerca innovativo, in cui a farla da padrone sono le ricerche conversazionali.
Ma cosa sono le ricerche conversazionali?
Treccani fornisce una definizione precisa per uno scambio conversazionale: “Si definisce conversazionale il modo di operare di un sistema di elaborazione caratterizzato da un’elevata interazione con l’utente e tra i suoi componenti. Tale modo consente di stabilire tra la macchina e l’uomo un dialogo, costituito da messaggi inviati alternativamente nei due sensi, in modo abbastanza simile a quello di una conversazione tra due persone.”
Le ricerche su Google si stanno trasformando in una conversazione tra l’uomo e la macchina, tra il ricercatore e Google.
È la fine della SEO e del posizionamento organico?
Facciamo un passo indietro e proviamo ad inquadrare l’ambiente in cui queste novità si inseriscono: l’obiettivo appare quello di rinnovare l’esperienza utente e fronteggiare la crescente concorrenza di piattaforme come ChatGPT e Perplexity, che hanno reso familiare il modello conversazionale a milioni di ricercatori in tutto il mondo. Le intelligenze artificiali stanno cambiando, come dicevamo ad una velocità mai vista prima, il modo in cui facciamo un sacco di cose, era inevitabile che avrebbero modificato anche il modo in cui ci informiamo e in cui ricerchiamo contenuti online.
L’AI Mode rappresenta quindi una nuova frontiera sperimentale per Google Search, alimentata dalla potenza dell’IA generativa, nello specifico dal modello Gemini 2.0. È stata concepita per affrontare interrogativi complessi che necessitano di esplorazione, comparazione e ragionamenti articolati. Come sottolineato da Robby Stein, VP of Product per Google Search, “Questo nuovo modo di ricerca amplia ciò che le anteprime IA possono fare con capacità di ragionamento, riflessione e multimodalità più avanzate, in modo che possiate ottenere aiuto anche per le vostre domande più difficili.” L’introduzione di questa modalità non è solo un’innovazione tecnologica, ma anche una mossa strategica in risposta alla popolarità dei chatbot conversazionali capaci di navigare il web. Vincenzo Cosenza evidenzia infatti che “l’introduzione dell’AI Mode si inserisce nella strategia più ampia di Google di integrare l’intelligenza artificiale in tutti i suoi servizi, ma è anche una risposta alla crescente concorrenza nel campo delle ricerche potenziate all’IA”.
Distinzione tra AI Mode e AI Overviews
È importante distinguere l’AI Mode dagli AI Overviews. Questi ultimi, già utilizzati da oltre un miliardo di persone, forniscono sintesi rapide dei risultati di ricerca, spesso collocate al di sopra dei link organici, e si rivelano utili per ottenere risposte concise a domande specifiche. L’AI Mode, invece, offre un’esperienza decisamente più elaborata e interattiva. Si presenta come un ambiente separato, simile a un chatbot, che permette agli utenti di porre domande successive per affinare o approfondire la risposta iniziale. Secondo ActuIA, “AI Mode consente agli utenti di formulare domande di follow-up e di interagire con Google in modo conversazionale”. Juan González Villa di USEO descrive l’AI Mode come “un prodotto al 100% in stile chatbot, non un piccolo spazio dedicato all’inserimento di una risposta di chat all’interno di una SERP normale”, evidenziandone la natura distinta rispetto alla tradizionale pagina dei risultati.
Meccanismi di funzionamento e accessibilità
Dal punto di vista tecnico, l’AI Mode impiega una metodologia chiamata “Query Fan-Out”. Questo approccio prevede l’avvio simultaneo di molteplici ricerche su argomenti correlati alla domanda dell’utente, attingendo a diverse fonti informative. Successivamente, l’intelligenza artificiale aggrega e sintetizza i risultati ottenuti per costruire una risposta strutturata, arricchita da collegamenti ipertestuali alle fonti consultate. Inoltre, la modalità è capace di gestire input multimodali, accettando sia testo che immagini.
Per quanto riguarda la disponibilità, l’accesso all’AI Mode era inizialmente limitato agli abbonati Google One AI Premium negli Stati Uniti e a un gruppo ristretto di tester. Recentemente, Google ha esteso la possibilità di provarla a tutti gli utenti statunitensi dotati di un account Google, tramite l’adesione al programma sperimentale Google Labs.
Vantaggi per l’utente e impatto sulla creazione di contenuti
I vantaggi potenziali dell’AI Mode per gli utenti sono significativi. Permette di ottenere risposte più ricche e approfondite rispetto alla ricerca tradizionale, rendendo possibile affrontare questioni complesse e articolate in un’unica sessione interattiva, approfondendo tramite domande successive. Il blog di Google evidenzia la capacità di “porre domande sfumate che in precedenza avrebbero richiesto ricerche multiple… e ottenere una risposta utile potenziata dall’IA con link per saperne di più”. Questo potrebbe ridurre la necessità di navigare tra numerosi siti web, poiché l’IA si occupa di sintetizzare le informazioni da più fonti. I primi riscontri dei tester in fase beta hanno lodato la velocità, la qualità e l’aggiornamento delle risposte fornite.
E qui torniamo alla domanda iniziale: l’AI Mode è la fine della SEO e del vecchio caro posizionamento organico? Quelli che fanno il mio mestiere, e che sono rimasti in sella negli ultimi due decenni di evoluzioni del toro di Mountain View, saranno costretti ad assaggiare la polvere?
Sgombriamo il campo da ogni equivoco: l’introduzione dell’AI Mode comporta certamente implicazioni rilevanti per la SEO e per chi crea contenuti online.
Dovremo tutti resettarci e utilizzare differenti strategie e modalità di lavoro.
L’AI Mode privilegerà contenuti di elevato valore informativo e grande autorevolezza. Di conseguenza, diventerà cruciale produrre materiali approfonditi, ben strutturati, supportati da dati e fonti affidabili. L’ottimizzazione per domande e risposte (come le FAQ) e l’uso strategico di parole chiave a coda lunga (long-tail keywords) acquisteranno ancora più peso per ambire a essere citati nei risultati generati dall’IA.
Si nota inoltre una crescente importanza dei contenuti video, specialmente da YouTube, negli AI Overviews, suggerendo che l’AI Mode potrebbe seguire una tendenza simile per trattare argomenti complessi.
Per le aziende, sarà fondamentale costruire una solida autorità di brand ed essere menzionate da fonti riconosciute per essere considerate dall’algoritmo.
Poiché gli utenti potrebbero trovare risposte esaustive direttamente nell’interfaccia AI, il tradizionale percorso di conversione potrebbe modificarsi, rendendo necessarie nuove strategie per la generazione di contatti, come l’offerta di newsletter o risorse esclusive.
E chissà cos’altro ancora (affermazione non molto scientifica, me ne rendo conto), perché lo scenario è in piena e costante evoluzione.
E va monitorato per capire.
Sfide e criticità dell’IA nella ricerca
Nonostante le potenzialità, l’impiego dell’IA generativa nella ricerca solleva anche sfide e criticità considerevoli. Una delle principali preoccupazioni riguarda l’affidabilità: queste IA possono generare informazioni non veritiere o decontestualizzate, un fenomeno ormai universalmente noto come “allucinazione”. Jevin West, professore all’università di Washington, fa notare che “gli LLM tendono a inventare cose, a volte portando a risultati indesiderati o imprevedibili”. A ciò si aggiunge la tendenza di questi modelli a fornire una risposta anche in condizioni di incertezza, piuttosto che ammettere una mancanza di conoscenza, aumentando il rischio di risposte errate.
Un altro aspetto critico è rappresentato dai bias. Le IA possono riflettere e persino amplificare i pregiudizi (di genere, razziali, ecc.) presenti nei vasti dataset su cui vengono addestrate, rischiando di perpetuarli nei risultati di ricerca. Esiste inoltre un potenziale compromesso tra efficienza e affidabilità: la ricerca della velocità e della comodità potrebbe andare a scapito della profondità, della diversità e dell’accuratezza delle informazioni presentate, poiché la sintesi implica inevitabilmente una selezione. Sebbene l’AI Mode includa link alle fonti, la natura stessa della risposta generativa può rendere meno trasparente l’origine specifica di ogni singola informazione.
Infine, e arriviamo infine al problema dei problemi, desta preoccupazione l’impatto sul traffico verso i siti web di terze parti. Se gli utenti ottengono risposte complete direttamente dall’AI Mode, potrebbero avere meno incentivi a cliccare sui link esterni. Ma se il sistema si nutre di contenuti esterni e, allo stesso tempo, incentiva gli utenti ad abbandonarne l’approfondimento, chi sarà ancora propenso a generare contenuti di qualità?
Giunge notizia, dalla fase di test americana, che nel nuovo AI Mode abbiano più visibilità i link alle fonti utilizzate dall’AI, che si guadagnano visibilità in una colonna a sé stante, al fianco della conversazione con l’AI: staremo a vedere…
Il futuro della ricerca, secondo Google ma non solo, è ancora tutto da scrivere: se il modello conversazionale appare ormai un’evoluzione inarrestabile, le fonti continueranno ad avere un’importanza enorme e ad essere imprescindibili. Forse il modello evolverà verso scenari in cui la spinta verso qualità e rilevanza dei contenuti la faranno da padroni. E alla fine potrebbe essere un gran bella notizia per chi, in fondo, ha sempre criticato i criteri qualitativi con cui Google organizzava i risultati delle proprie serp.