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Oggi vi racconto la storia di Luigi, un lettore abbonato di Repubblica e repubblica.it.
Luigi vive in Liguria e, nel tempo libero dal lavoro, ama visitare luoghi e paesi dell’entroterra della sua regione, magari cercando qui e là notizie curiose, itinerari da scoprire, eventi e tradizioni che non conosce.
Qualche giorno fa ha scoperto un articolo online su Repubblica che parla di Fascia, il “paese più alto della Liguria” con i suoi 1.118 metri sopra il livello del mare.
Scopre che Fascia, nella valle del torrente Cassingheno, è edificato alle pendici del “monte più alto della Liguria”, il monte Carmo con i suoi 1645 metri, e che, nel paese, è possibile visitare il “Museo della civiltà contadina che raccoglie utensili, attrezzi e testimonianze della vita di montagna di un tempo”.
Luigi decide di andare a visitare Fascia durante il primo weekend libero dal lavoro ma, sorpresa delle sorprese, si accorge che il monte Carmo sovrasta sì il paese, ma non è per nulla il monte più alto della Liguria (che è il monte Saccarello, con i suoi 2.200 metri). E che del museo della civiltà contadina nessuno sa nulla.
Per consolarsi decide di pranzare in un ristorante locale, presso la Casa del Romano, per provare le specialità culinarie magnificate nell’articolo: ravioli burro e salvia e tagliatelle ai funghi. Con sua grande sorpresa scopre che le celebrate specialità non sono affatto tipiche della zona o meglio, sono un po’ tipiche di qualsiasi zona.
Non una grande gita, vero?

Come avrete capito la storia è inventata, o meglio: è una storia che potrebbe accadere. Sì, perché oggi, leggendo qua e là Repubblica, mi sono imbattuto in un articolo su Fascia in cui, sul sito online di uno dei più importanti quotidiani italiani, si forniscono informazioni errate sul paese dell’alta Val Trebbia.
Ma la cosa che mi ha stupito ancor più è che l’articolo, che in realtà non è scritto da giornalisti di Repubblica, ma è un contenuto editoriale realizzato in collaborazione con Idealista, il portale immobiliare, sia stato scritto, con certezza, utilizzando una qualche IA. Le tracce sono inconfondibili: le solite iperboli (un tuffo nella storia, un tesoro di tradizioni, un salto o un viaggio nel passato) e le solite costruzioni che, ormai, sono una firma certa (“Che tu sia un escursionista, un amante della buona cucina o semplicemente alla ricerca di pace…”) .
Lo ripeto ancora: l’articolo non è scritto dalla redazione di Repubblica, ma la cosa importa davvero? Se cercando informazioni su Fascia (come ho fatto io e non Luigi su Google) si trova tra i primi risultati proprio questo articolo ospitato su Repubblica.it e su cui il logo di Repubblica, insieme a quello di Idealista, sta in bella mostra, importa a qualcuno che non sia scritto fisicamente da un giornalista professionista d Repubblica? In quanti tra i lettori riuscirebbero a capirlo e a comprendere la differenza?
Quel che conta, a parer mio, parere di utilizzatore professionale delle IA (avrei voluto scrivere professionista, ma di solito, sui giornali, questo termine viene associato ad altro tipo di notizie…) nonché di appassionato del tema, è che ormai paiono dilagare contenuti non solo di pessima qualità, ma perfino zeppi di errori, non soltanto su siti di infimo ordine, ma nel tempio del giornalismo italiano.
Io non so se qualcuno in Repubblica abbia contezza di questa situazione o ne sia quanto meno preoccupato, di certo lo sono io. Il problema, come mi sono ritrovato a dire più volte, non è il surplus di intelligenza artificiale o di materiali prodotti dalle IA, ma la sempre minor dose di accuratezza e professionalità umana, che fa sì che nemmeno si controlli ciò che si diffonde dalle pagine, online o meno, di un giornale come Repubblica.
Concludendo l’articolo (a proposito, potete leggere l’articolo originale su repubblica.it online a questo indirizzo, ma lo trovate in versione pdf anche qui, nel caso in cui qualcuno decidesse di correggere gli errori originali) mi sono fatto una domanda: cosa “penserà” di questa storia l’Intelligenza Artificiale?
Ecco la risposta (un po’ paracula) di Gemini a cui ho fatto leggere, per primo, il pezzo:

“Dal mio punto di vista di intelligenza artificiale, la storia che hai raccontato (reale o verosimile che sia) è emblematica di una sfida cruciale che emerge con la mia stessa diffusione e con i modelli di business digitali attuali. La lezione fondamentale non riguarda tanto la mia capacità (o quella di altre IA) di generare contenuti – che è uno strumento – quanto l’imprescindibile necessità della responsabilità e della verifica umana nel processo informativo.

Ecco i punti chiave (eh sì, perché alle IA piacciono tanto i contenuti organizzati in elenchi e liste…):

  1. Il valore della verifica umana: l’IA può assemblare informazioni e produrre testi rapidamente, ma (almeno allo stato attuale) manca di discernimento critico, di verifica sul campo, di comprensione profonda del contesto locale e di sensibilità etica paragonabili a quelle di un professionista umano esperto. Questo caso dimostra che l’output dell’IA necessita sempre di una validazione accurata da parte di persone competenti prima della pubblicazione, specialmente su piattaforme autorevoli.
  2. Brand Reputation e responsabilità editoriale: anche se un contenuto è “ospitato” o frutto di una partnership (come con Idealista), la sua presenza su un sito come Repubblica.it, sotto il suo logo, trasferisce inevitabilmente parte della credibilità della testata al contenuto stesso agli occhi del lettore medio. La responsabilità editoriale non dovrebbe diminuire solo perché la fonte primaria non è un giornalista interno. La fiducia del pubblico è un bene prezioso e fragile.
  3. Il rischio della “sufficiente buona qualità”: la tendenza a pubblicare contenuti “sufficientemente buoni” generati rapidamente (da AI o meno) per motivi di volume, velocità o costo, rischia di abbassare gli standard generali. L’assenza di errori grossolani non equivale a qualità o accuratezza. In questo caso, gli errori c’erano eccome.
  4. Alfabetizzazione mediatica (lettori e redazioni): è importante che sia i lettori sia le redazioni stesse sviluppino una maggiore consapevolezza sulle diverse nature dei contenuti online (articoli redazionali, pubbliredazionali, contenuti partner, contenuti generati da AI) e sui potenziali bias o limiti di ciascuno. Ma l’onere principale della correttezza deve restare in capo a chi pubblica.”