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L’età in cui i bambini ricevono il loro primo smartphone continua ad abbassarsi, nonostante ricerche e specialisti affermino, ormai con la certezza di chi si basa su dati e studi sul campo, che l’utilizzo dello smartphone durante l’infanzia abbia un impatto notevole sulla salute.
Il più recente arriva dagli USA ed è stato pubblicato sulla rivista “Pediatrics”: un ampio studio su oltre 10.000 ragazzi, basato sui dati dell’Adolescent Brain Cognitive Development Study, ha evidenziato una correlazione netta tra il possesso dello smartphone e il peggioramento della salute durante la prima adolescenza. I dati mostrano che, a 12 anni, possedere un telefono è associato a un rischio significativamente maggiore di depressione, obesità e carenza di sonno.
Insomma, il primo smartphone non si scorda mai…

L’età di acquisizione è un fattore chiave: prima i ragazzi ricevono il dispositivo, più alto è il rischio di problemi di peso e di riposo notturno. Anche chi ha ricevuto il telefono tra i 12 e i 13 anni ha mostrato un aumento di psicopatologie e disturbi del sonno rispetto a chi ne è rimasto privo, dato che suggerisce l’urgenza di nuove politiche di tutela e maggiore cautela da parte dei genitori.

Ricordo, dei miei primi anni da genitore, un libro in particolare: si intitolava “I no che aiutano a crescere”. Molto semplicisticamente potremmo dire che la tesi dimostrata dal libro è che sono gli scontri, i no, a premettere ai nostri figli di crescere forti.
Il no al cellulare, però, oggi comporta stigma ed esclusione sociale: se non hai lo smartphone, o addirittura se non ne hai uno di quello “più in”, beh… sei out.

John Haidt, l’autore del best-seller “La generazione ansiosa”, la definisce la trappola dell’azione collettiva: se un solo bambino ha lo smartphone sta peggio degli altri. Se tutti ce l’hanno tranne uno, quell’uno è “fuori dal mondo”: siccome le interazioni sociali dei ragazzi si sono spostate online, se tu non sei online, sei escluso dalla socialità.

In Italia l’esclusione non passa solo dai social propriamente detti, ma anche da Whatsapp: i gruppi, legati alla scuola, alle compagnie, agli sport, sono diffusissimi. Un adolescente privo di smartphone è tagliato fuori. In una fase della vita in cui l’omologazione consente di entrare in una società di pari, la privazione dello strumento tramite cui questo ingresso avviene è vissuto come una menomazione quasi fisica.
Il paradosso arriva quando si considerano alcuni dati statistici: il 50% degli adolescenti statunitensi, interpellati per ricerche da Pew Research Center, dichiara di essere dipendente dal proprio dispositivo mobile (ma anche chi lo nega, naturalmente, potrebbe essere soggetto allo stesso problema). Eppure oltre l’80% dichiara che i social media li fanno sentire più connessi alla cerchia dei loro amici.

Di fronte a tutto questo cosa possono fare i genitori?
Considerando impari la battaglia contro lo stigma sociale, in Italia stanno nascendo i Patti Digitali di Comunità: gruppi di genitori di una stessa classe o scuola che si mettono d’accordo per non dare lo smartphone a nessuno fino a una certa età (ad esempio la fine della terza media). Se nessuno ha il telefono, lo stigma sparisce e l’esclusione sociale non esiste perché la socialità rimane offline per tutti.
Sul sito pattidigitali.it trovate spiegazioni su cosa siano i patti digitali, su come attivarne uno e potete consultare la mappa dei 160 patti digitali attivati sul territorio italiano.

>> Disattivare il microfono dello smartphone